Hai curato il design dell’erede della 155 la 156, che dà avvio ad una nuova visione del design, dove ci sono elementi moderni, e classici è stata anche eletta come Auto dell’anno 1998, sarà apprezzata anche nella versione Sportwagon, ci puoi dire quali furono le direttive per definire questo capolavoro di design?
Agli inizi degli anni ’90 FIAT aveva da poco acquisito Alfa Romeo e credo che non fosse ben chiaro nemmeno a loro che ne volessero fare. Agnelli continuava a dire che Alfa Romeo era la loro provincia debole e che l’avevano presa unicamente per sottrarla ad acquirenti esteri. Quindi non vi erano direttive strutturate. Chi avrebbe dovuto dare istituzionalmente indicazioni sulla strategia del prodotto si limitava a dire poco più che i nuovi modelli dovevano essere sportivi e possibilmente di colore rosso. Inoltre FIAT, sempre nei primi anni ’90, aveva acquistato un dismesso algoritmo di marketing strategico da una casa automobilistica giapponese con il quale, dando come input le analisi di mercato fatte dal Marketing del marchio, avrebbe dovuto dare come output automaticamente le indicazioni stilistiche e tecniche che la clientela voleva. Come ogni algoritmo fatto dall’uomo, gli output di quel programma non erano per niente oggettivi e risentivano della mentalità e dell’epoca di sviluppo di cui era permeato il programmatore, per cui al Centro Stile Alfa Romeo ricevemmo delle indicazioni che sarebbero andate bene ad un modello di vettura giapponese di venti anni prima. Quell’algoritmo, pur profumatamente pagato, ebbe (fortunatamente) vita breve in FIAT.
Per fortuna negli anni ’90, all’interno di Arese, vi era ancora un grande orgoglio alfista ad ogni livello nei progettisti che sviluppavano i modelli; non solo dal punto di vista stilistico, ma anche meccanico e tecnico, e la direzione di Torino era sia fisicamente, che per ingerenza, ancora lontana dall’imporre una propria linea (che, come detto, neanche esisteva).
Nel frattempo, all’interno dei vari enti progettuali di Alfa Romeo, dai primi anni ’90 continuava la ricerca in sintonia con la tradizione alfista, anche se in maniera autonoma e non finalizzata ad un modello particolare.
Quando si dovette pensare alla successora della 155, per sopraggiunta obsolescenza del modello, la progettazione di Arese aveva già sviluppato delle proposte sia tecniche che formali riguardo ad un ipotetico segmento C- D, che è il “core business” di Alfa Romeo, e che sono state riversate nel progetto che poi è diventato la 156.
Quindi mi sento di dire che il progetto 156 è figlio della passione e professionalità della progettazione prettamente Alfa Romeo e non di una programmazione avveduta e studiata dai vertici aziendali che da poco avevano acquisito il Marchio.
Ci puoi raccontare la genesi e la storia della Nuvola?
Come successo per la genesi della 156, anche qui la nascita della Nuvola è da attribuire unicamente alla lungimiranza e visione degli enti interni di Arese. Anche come provocazione verso i vertici FIAT: infatti gira tutt’ora la leggenda che il progetto Nuvola sia stato fatto di nascosto alla direzione FIAT e ai suoi amministratori delegati (che in quel periodo erano due: Testore e Cantarella). Bene; quella leggenda è vera. Era un periodo dove FIAT si stava preparando a smantellare il marchio Alfa Romeo e un concept accattivante era la ultima cosa che volevano.
Per cui il budget necessario fu trovato dagli enti erodendo risorse e tempi da progetti di vetture che andavano in serie (la Nuvola è tutta sviluppata su componenti di modelli di serie già prodotti, a parte il telaio fatto apposta). Vi furono parecchi enti e dirigenti Alfa Romeo che si coordinarono per creare un concept che esprimesse l’assoluto spirito Alfa Romeo in un modello innovativo, rappresentativo e PRODUCIBILE.
Non solo, ma venne ricreato lo spirito iniziale storico di Alfa Romeo, dove la casa automobilistica avrebbe fornito il telaio, la meccanica e la motorizzazione del modello che poi il cliente avrebbe fatto carrozzare da un carrozziere esterno su propria indicazione.
Era un ritorno alle origini del Marchio ed una proposta forte filosofica e commerciale in anni che cominciavano a sentire lo stantio della produzione di massa di vetture.
Alfa Romeo avrebbe comunque fornito a chi volesse la propria proposta di carrozzeria per la vettura, che è quella con cui è stato presentato il modello nel 1996 al salone di Parigi.
Altro aspetto formidabile del progetto Nuvola è che è il primo modello al mondo progettato, esterni ed interni, già dalla fase iniziale di design interamente in digitale. Infatti, quando fu presentata a sorpresa all’amministratore delegato dott. Cantarella, gli fu consegnato il modello funzionante di vettura confezionata in carta regalo (con tanto di nastro), assieme alla cassetta di memoria che conteneva le matematiche di tutta la vettura in digitale, impacchettata con la stessa carta e nastro.
Il concept riscontrò un enorme successo al salone di Parigi (del ’96) in cui fu presentata e fu con molta difficoltà che i vertici FIAT riuscirono a raffreddare gli animi e ad impedire che la vettura venisse commercializzata.
Come vedi il nuovo corso stilistico Alfa Romeo?
Ormai Alfa Romeo non è più la “provincia debole” di FIAT, però anche FIAT ormai non esiste più. Ora fa parte del marchio Stellantis che di fatto, e sotto tutti gli aspetti, non ha più nulla di italiano.
Anche se l’amministratore delegato Imparato ha svelato un programma di commercializzazione Alfa Romeo fino al 2031, temo che il futuro del Marchio sia attualmente ancora da decidere.
Si ipotizza che debba essere un marchio a motorizzazione esclusivamente elettrica e/o che debba integrarsi in delle sinergie non solo di componenti con altre vetture del gruppo.
Insomma, il futuro è attualmente molto nebuloso.
Ma in effetti non è nebuloso e confuso solo per il marchio Stellantis, ma è tutto il futuro dell’industria, non solo italiana, ad essere ancora da definire. Negli ultimi 20 anni abbiamo assistito, a livello mondiale, alle industrie che in generale (non solo automobilistiche) hanno basato i loro business più sull’aspetto finanziario che su quello del prodotto. In pratica si sviluppavano più per l’indotto interno finanziario che creavano che per le vendite dei prodotti, per cui si è assistito ad un’uniformazione scandalosa del prodotto, che non era più importante che fosse veramente di qualità e utile agli utenti. Mi sento di dire che, fortunatamente, questa creazione di derivati ha portato ad una bolla economica che sta disintegrandosi definitivamente negli ultimi due anni e, anche se sta creando parecchia sofferenza alla gente comune che vede stravolta la propria vita, è l’unico mezzo per eliminare alla radice un capitalismo tossico che viveva (e vive tutt’ora) sul bene di pochi a scapito dei tanti.
Saranno anni difficili i prossimi, ma indispensabili per resettare la via sbagliata che si era imboccata tempo fa: quindi non posso rispondere quale prevedo che sia il nuovo corso stilistico Alfa Romeo, perché sta mutando tutto il background che dovrebbe accoglierlo.
Chi come designer ti ha ispirato ad intraprendere la tua carriera?
Questa domanda è la più difficile a cui rispondere, perché la mia carriera, come la mia vita, è un divenire. Dal punto di vista della mia creatività industriale posso dire che sono cresciuto nella convinzione che ogni prodotto, filosofia, ragione di vita debbano essere fatte nel concetto di Design.
Contrariamente a quanto la cultura italiana degli ultimi 40 anni è portata a credere, il design NON è la forma, bensì la funzione.
Più un oggetto soddisfa un’esigenza, un bisogno, in maniera pratica, più esso è utile e anche BELLO.
E mi ricollego all’affermazione di Ezra Pound dove dice che:
“Di tutte le definizioni della Bellezza che ho trovato in varie opere di filosofia, arte, estetica e oltre, ricordo con piacere quella più semplice: troviamo una cosa bella in proporzione alla sua idoneità ad una funzione”.
Personalmente cerco di capire e applicare le idee e la filosofia dei vari Munari, Rodari, Fromm…
Sono convinto che la propria professionalità debba essere una costola della propria filosofia di vita e che questa debba seguire forzatamente un’etica universale.